Dopo l’uscita di scena piuttosto teatrale di Draghi, che ha colto l’occasione della mancata
fiducia del Movimento 5 Stelle per ritagliarsi una via di fuga ideale ed incensata dalla
grancassa mediatica, giusto in tempo per evitare la tempesta invernale; Mattarella, con
colpevole ritardo, ha sciolto le Camere e ha indetto nuove elezioni per il 25 settembre.
I tempi sono davvero stretti, per ferragosto bisognerà aver pronte le liste, mentre per il 21
agosto si dovrà aver completato l’iter di raccolta delle firme e dal 26 agosto ci sarà lo start
vero e proprio della campagna elettorale, con il via libera ad appendere i manifesti.
Chiaramente si tratta di una data simbolica, in quanto la campagna elettorale è già iniziata
nei fatti e infurierà, senza esclusione di colpi, per tutta estate.
Queste elezioni saranno le prime dopo il referendum sul taglio dei Parlamentari e quindi si
eleggeranno 600 Parlamentari al posto dei 945 attuali. La Camera dei Deputati sarà
composta da 400 membri contro i 630 di adesso, mentre i senatori saranno 200 anziché
315.
Tale riforma costituzionale ha acuito il grosso deficit di rappresentanza, che già prima del
referendum affliggeva la democrazia italiana. Infatti, sebbene l’Italia avesse in proporzione
più Parlamentari rispetto ai principali Paesi Europei, nei gradi intermedi delle istituzioni e
cioè Regioni Province e Comuni; i cittadini italiani erano e, sono ancora, molto meno
rappresentati rispetto a quelli di Germania, Francia, Regno Unito o Spagna.
Oggi, quindi, con la ridefinizione dei confini dei collegi elettorali e l’accorpamento di alcune
province; quelle più piccole quali Belluno o Rovigo, rischieranno persino di trovarsi senza
alcun rappresentante eletto in Parlamento.
Ad ogni modo, con le elezioni anticipate si andrà a votare ancora con la legge elettorale
vigente, ovvero il Rosatellum, la quale prevede un sistema misto tra maggioritario e
proporzionale, con listini bloccati “brevi” e senza le preferenze.
Di fatto, ancora una volta, non spetterà davvero ai cittadini la scelta dei propri
rappresentanti, ma saranno le segreterie di partito a stabilire chi sarà eletto, a seconda del
posto di lista che ricoprirà o del collegio uninominale nel quale sarà candidato.
Il Rosatellum, infatti, prevede che l’Italia sia suddivisa in collegi uninominali: 147 alla
Camera e 74 al Senato, i quali vengono assegnati con il sistema maggioritario, e cioè
risulterà eletto il candidato della lista o della coalizione che prenderà più voti.
A fianco di questa suddivisione uninominale, la penisola viene anche ripartita in collegi
plurinominali: 245 alla Camera e 122 al Senato, che vengono invece assegnati tramite il
sistema proporzionale, ovvero, maggiore sarà la percentuale di voti della lista o della
coalizione e maggiori saranno i candidati che verranno eletti.
Infine, vanno aggiunti i 12 collegi riservati ai deputati e ai senatori eletti all’estero: 8 alla
Camera e 4 al Senato, per completare il quadro dei 600 Parlamentari.
Il meccanismo elettorale italiano si conferma piuttosto complicato e, c’è il concreto rischio,
di trovarsi di nuovo di fronte ad una situazione di ingovernabilità, qualora dalle urne non
uscisse maggioranza numerica solida e coesa.
Stando ai sondaggi il centro destra è in vantaggio, trainato dall’ascesa di Fratelli d’Italia,
che oggi, ha il vento in poppa e molto probabilmente sarà primo partito. Tuttavia, per
arrivare ad avere un governo solido, si dovranno fare delle alleanze o delle coalizioni e la
più probabile nel centro destra è, appunto, quella tra Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. I
tre partiti dovranno comunque mediare molto anche in caso di vittoria, poiché su molti temi
hanno visioni differenti e non è scontato che si riesca a trovare una quadra stabile a livello
nazionale. L’esperienza delle amministrative di Verona insegna.
Sicuramente il centro sinistra sta messo peggio, poiché nonostante il PD riesca a
mantenersi sulla consueta percentuale del 20%-21% di consensi, la frammentazione del
Movimento 5 Stelle in due o tre sottogruppi, e il frazionamento del centro in molti partitini
personali, quali Italia Viva e Azione +Europa, pone grosse difficoltà alla realizzazione di
una coalizione progressista.
L’esito delle elezioni comunque è ancora da definirsi e non è detto che dalle urne esca
quel governo forte e solido, di cui l’Italia avrebbe bisogno; ma l’occasione per il centro
destra è di quelle da non lasciarsi sfuggire, perchè se riuscirà stare unito, ha concrete
possibilità di governare per i prossimi anni.
La situazione nazionale è quindi piuttosto delineata, almeno nelle sue direttrici principali,
mentre a Verona e provincia si aprirà una fase molto calda all’interno delle segreterie di
Partito, per stabilire chi saranno i candidati, e quindi conseguentemente anche gli eletti nel
prossimo Parlamento.
Con i nuovi numeri la Provincia di Verona vedrà ridursi di un buon 30% i suoi
rappresentanti e stando ai sondaggi attuali possiamo prevedere che FDI sia il primo partito
veronese e porti in Parlamento 4/5 eletti tra Camera e Senato, più che raddoppiando la
propria quota attuale, che ora vede solo un deputato e un senatore.
Al secondo posto ci sarà una battaglia tra PD e Lega che potrebbero eleggere tra i 2/3
rappresentanti ciascuno, con la concreta possibilità che il PD sia in vantaggio sulla Lega.
Se per il PD si tratta di una diminuzione dovuta al taglio, ma non alla perdita di consensi,
infatti oggi esprime 4 rappresentanti; e molto probabilmente ne manterrà 3, per la Lega si
tratterà invece di una riduzione rilevante. Il Carroccio, infatti, oggi vanta 7 rappresentanti: 5
deputati e 2 senatori, frutto degli ottimi risultati del 2018, ma stante ai sondaggi attuali, più
della metà degli attuali rappresentanti leghisti non troverà spazio nel prossimo Parlamento.
Forza Italia molto probabilmente dovrà accontentarsi di un solo esponente nella prossima
legislatura, rispetto ai due attuali, mentre i 5 Stelle spariranno totalmente dalla scena
politica veronese.
Infine è molto concreta la possibilità che uno dei partiti del centro possa prendere un
proprio rappresentante, a seconda delle ripartizioni delle percentuali ottenute a livello
nazionale.
A questo punto siamo arrivati al fulcro del problema del centro destra veronese, ovvero chi
esprimere come rappresentanti nei listini bloccati.
Dopo la sonora batosta appena maturata alle amministrative, bisognerà capire se, visti i
tempi stretti, verranno espressi dalle segreterie di partito gli stessi nomi, che hanno
condotto il centro destra alla sconfitta cittadina o se invece si indiranno in tempi brevissimi
dei congressi, per far partire dalla base di sostenitori e militanti un cambiamento
democratico di leadership, basato su competenza e capacità, che getti le fondamenta per
la costruzione di una nuova classe dirigente, che metta al centro Verona ed i suoi
interessi.
Il fattore tempo questa volta gioca a sfavore del rinnovamento, tuttavia se le segreterie di
partito non riusciranno a farsi percepire democratiche e partecipative dalle proprie basi,
non sarebbe da sorprendersi qualora le percentuali di consensi del centro destra
continuassero inesorabilmente a scendere, per favorire invece il centro sinistra,
esattamente come alle comunali.
La politica ci ha abituato a tante sorprese, ma solo tornando vicina ai cittadini e al servizio
della Provincia e di Verona, potrà appassionare di nuovo gli elettori e portarli alle urne.
Certo è, che con le preferenze sarebbe tutto più semplice, perchè a quel punto a decidere
sarebbero gli elettori e non più i partiti!
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