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Individuo e aziende: la riscoperta del valore sociale delle aziende. Un metodo alternativo di crescita economica sostenibile

La nostra società odierna è basata sull'economia e sui profitti che da essa derivano, perchè diciamocelo, oggi, tutto gira attorno al denaro. 
Certo, i sentimenti contano e creano i ricordi, che come dice il mio amico Daniele, scaldano il cuore, ma non sono l'oggetto di questo blog e quindi mi concentrerò su quello che dovrebbe essere l'elemento portante della nostra economia capitalista occidentale: le aziende, e in particolare sul loro ruolo sociale.
Occorre, comunque, fare una precisazione di non poco conto, le aziende sono fatte di persone, ed infatti, alla base della nostra società sta, ancor prima dell'azienda, l'individuo, che però, nella sua ricerca del profitto e del guadagno può essere ricondotto all'elemento azienda, come struttura atta alla produzione e al commercio di beni e servizi.
Noi, oggi, viviamo in una società individualista per eccelenza, il che sta a significare, che ognuno di noi, è interessato ad ottenere dalla realtà che lo circonda, il maggior numero di benefici possibili, siano essi sul piano economico, ma anche su quello sentimentale e relazionale. 
Si può, quindi, tranquillamente definire l'uomo moderno come un individuo insulare, citando Paolo Grossi, uno dei padri della storia moderna del diritto.
In quest'ottica, infatti, l'uomo viene rappresentato nella sua dimensione economica, l'homo oeconomicus, appunto, che si relaziona con l'altro per un mero interesse economico, ovvero per un aumento del proprio profitto. Se ci pensiamo, nella nostra società l'uomo economico, è egoista ed egocentrico, proprio perchè, ha come obiettivo ideale, la massimizzazione del guadagno personale e lo sfoggio di tale guadagno, chiamato comunemente ricchezza, attraverso le apparenze, sempre più al centro della nostra vita quotidiana.
Lungi, però, dal voler scendere nell'annoso dibattito, che vede contrapposto l'essere all'apparire, ritenevo, comunque, interessante contestualizzare questa economicità dell'individuo per collegarla successivamente all'attività aziendale.
In questo quadro socio-economico, appena descritto, mi piace definire la nostra società come la società dell'usa e getta, perchè se ci ragioniamo, ogni cosa che possediamo la teniamo finchè ci serve e poi la cambiamo, la gettiamo appunto, spesso ancor prima che abbia smesso di esserci utile, proprio perchè ognuno di noi guarda tanto ai benefici e ai profitti, quanto alla volontà di apparire ricco agli occhi della società.
Quanto appena descritto rappresenta l'essenza del capitalismo esagerato o finanziario, come preferisco chiamarlo io, tipico dei nostri giorni, dove per aumentare massivamente i profitti si vanno a creare, attraverso strategie di marketing e pubblicità mirate, dei bisogni, che in realtà non esistono, ma che sono pensati, per porre in essere un aumento della domanda da parte del consumatore, attraverso la quale si potrà aumentare a dismisura la produzione e continuare nella crescita.
Ora, però, sorge spontanea una domanda, fino a quando potrà effetivamente continuare la crescita?

La risposta messa in campo dal nostro sistema economico è presto data: facendo credere a chiunque, di potersi permettere qualsiasi cosa. Sempre più persone, infatti, sono incentivate ad indebitarsi, per apparire socialmente rilevanti e per poter permettersi uno stile di vita, che altrimenti non avrebbero mai potuto avere. Questa è la cosidetta democraticizzazione della finanza, cioè la possibilità di vivere al di sopra delle proprie capacità, grazie ai debiti.
Però, come ho già ampiamente detto, i mercati finanziari, in realtà, non sono e non saranno mai democratici, poichè guardano solo al profitto e non si curano dell'aspetto sociale. Ed infatti, questa risposta ha funzionato benissimo fino al 2008, quando i mercati, però, hanno perso la fiducia nella crescita infinita, e hanno presentato il conto, facendo scoppiare la bolla dei mutui Subrime e scatenando la più grande crisi di liquidità che l'economia capitalista abbia mai visto.
Infatti, in nome del diritto alla casa vennero concessi mutui, anche a chi non dava le garanzie adeguate per poterli ripagare. La bolla immobiliare come detto esplose, e le conseguenze le stiamo vedendo ancora tutt'oggi. Ma ci sarà occasione di parlare approfonditamente di questo in un altro post.
La crescita non può continuare all'infinito e questo ce lo insegna la storia, poichè dopo ogni grande boom economico, è sempre seguita una grande crisi, tuttavia, toccherebbe a noi e ai nostri legislatori creare una metodologia di crescita alternativa e sostenibile, che è proprio il proposito che si pone questo articolo, ovvero la possibilità di creare valore economico in un modo alternativo a quello della liquidità finanziaria, attraverso il valore sociale delle aziende.
Ora, infatti, è giusto fare un passo indietro, e riportare il nostro discorso, così come si dovrebbe fare anche con l'economia (sic!), sul piano di ciò che effettivamente produce merce e ricchezza, ovvero le aziende. 
Esiste una chiara correlazione, che lega indissolubilmente, l'individuo all'azienda, infatti, all'inizio della sua vita, ogni azienda è fondata da uno o più individui, i quali mettendo in pratica una loro idea, creano un'attività, attraverso la quale vogliono aumentare i propri profitti, per garantirsi una vita migliore, e conseguentemente uno status symbol, quell'apparenza che ho precedentemente citato.
Fino a qua è tutto giusto, e ci mancherebbe, perchè sono e sarò sempre a favore della libera iniziativa economica.
Tuttavia, oggi, soprattutto nelle aziende di più grandi dimensioni, si è perso di vista quello che dovrebbe essere il ruolo sociale dell'impresa, a favore della crescita esponenziale sul piano finanziario, volendo appunto garantire agli shareholders i massimi profitti possibili.
L'insofferenza da parte dei lavoratori e in particoalre delle nuove generazioni, è palese, nei confronti di questa visione delle imprese prettamente finanziaria, che mette il profitto davanti e a discapito di tutto.
Il lavoro in azienda, infatti, non è più il lavoro dei sogni dei giovani studenti, i quali cercano e vogliono un bilanciamento equo tra vita privata e lavorativa, e sono più attenti alle mission aziendali di quanto si possa pensare.
Si fa, e nel futuro, si farà sempre più fatica a trovare giovani occidentali disposti a lavorare, dodici o tredici ore al giorno, e sia chiaro, non solo perchè non ne hanno voglia, ma anche e soprattutto perchè non ne traggono alcun benificio, nè a livello personale, e spesso, almeno in Italia, neanche a livello economico. 
Molte di queste grandi aziende, cercando di rispondere a queste esigenze sociali sempre più forti, si dichiarano plastic free, o green, oppure ancora, spendono un sacco di soldi in beneficienza, confondendo la loro responsabilità sociale, che è appunto il rispetto dell'ambiente che le circonda e la filantropia, con quello che, invece, è il valore sociale dell'azienda, cioè la crescita sostenibile, attraverso la valorizzazione del proprio core business, con politiche e strategie mirate a rispondere alle nuove esigenze dei consumatori e soprattutto alla valorizzazione delle proprie risorse umane.
Bisognerebbe quindi ripartire, culturalmente ed economicamente, dalle piccole e medie imprese, di cui tra l'altro in Italia siamo ricchi, dove si ha ancora a cuore il parere e l'operato del proprio collaboratore, che molto spesso, ripaga la fiducia dell'imprenditore, sia con il duro lavoro, che talvolta, anche con idee nuove, utili a migliorare l'impresa stessa.
Per questo, il valore sociale delle aziende, rappresenta il ripartire dal territorio, dal locale, formare e costruire il proprio successo iniziando dalla propria casa e dalla propria comunità, solo in questo modo si potrà garantire una crescita economica sostenibile, che sicuramente non porterà alla massimizzazione dei profitti, ma d'altra parte aumenterà il valore economico e culturale della comunità, dove opera l'azienda.
E in questo arduo compito, l'imprenditore non deve essere lasciato da solo, dovrebbe intervenire in suo sostegno la politica, e a mio avviso, la nostra politica italiana l'ha fatto troppo poco, per non dire mai.
E' qui, secondo me, che la politica italiana degli ultimi anni, indipendendemente dalla bandiera partitica, si è dimostrata incapace.
Incapace di valorizzare il nostro tessuto economico aziendale, unità base di un sistema economico che vuole crescere sostenibilmente.
Lontana sia dagli imprenditori, che trascurati e vessati da tasse e burocrazia non hanno potuto far altro che affidarsi alla finanza per massimizzare i profitti nel breve, per poi, purtroppo finire, troppo spesso, falliti nel lungo periodo e lontana anche dal popolo lavoratore, sempre più abbandonato a sè stesso e utile solo come numero, come semplice manodopera a basso costo, sia nelle fabbriche torinesi, che negli uffici milanesi.
Non sono state messe in campo quelle misure necessarie per far esprimere il valore sociale delle imprese, per esempio la valorizzazione delle tradizioni, della qualità e della diversità, per creare quella sinergia e quel senso di appartenenza tra aziende, lavoratori, intesi come persone e non numeri, e territorio; che oggi manca, sia a livello italiano, che più in generale, a livello globale.
Non si tratta di un ritorno al passato, si tratta, invece, di prendere il passato come base, come storia,  di non dimenticare chi siamo e da dove veniamo, perchè solo così, potremo costruire un futuro sostenibile.



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